martedì 23 giugno 2009

La Majella 2

**L'Abruzzo Religioso** “Nel quadro severo delle sue montagne e nelle difficili condizioni di esistenza da esse determinate, il profilo spirituale dell'Abruzzo è stato modellato dal cristianesimo: l'Abruzzo è stato, attraverso i secoli, una creazione di santi e di lavoratori. ... Per scoprire l'intera struttura morale dell'Abruzzo bisogna dunque conoscerne i santi e la povera gente”. Più di mezzo secolo è trascorso da quando Ignazio Silone sintetizzò in pochi essenziali tratti il profilo dell'Abruzzo. (L'Abruzzo in Abruzzo e Molise - TCI, Milano 1948) Fra la terra d'Italia più ricca di arcano, l'Abruzzo ha la sua più profonda religiosità nella Natura e negli Eremi, oltre che nelle Chiese. La sacralità della natura è sfondo e ad un tempo protagonista. La Maiella definita da Plinio il Vecchio “padre dei monti”, è per gli abruzzesi “La Madre”, la “Dea Maja”, dea italica. Una montagna complessa e affascinante, pulsante di vita, di verde e di acque, ma anche ricca di innumerevoli testimonianze culturali: Eremi, Conventi, Castelli. La scelta della Maiella come luogo di culto da parte degli eremiti è dovuta probabilmente all'isolamento che questa montagna ha conservato. La cospicua parte superiore del massiccio è stata per per lunghi secoli terreno esclusivo di pastori, boscaioli e santi eremiti. La sacralità della Maiella affonda le origini in epoche remotissime e precristiane. La leggenda racconta della dea Maya, gigantesca e bellissima donna frigia, che riparò su questo monte con il figlio ferito morente. Il pianto della madre arivò alle orecchie di Giove che impietosito volle dedicare al figlio della dea un alberello dagli sgargianti fiori gialli: il maggiociondolo, albero abruzzese per eccellenza. ((http://www.informacibo.it/giro_abruzzo.htm))

La Majella, la montagna sacra degli Abruzzesi, dedicata alla Dea Maja

Da tempo immemorabile la Majella rappresenta per gli abruzzesi la montagna madre. Sacra nell'antichita’ alla dea Maia, nel Medioevo divenne luogo di preghiera per numerosi eremiti, tra cui Pietro Angeleri, divenuto poi Papa Celestino V. Eremi e abbazie fiorirono cosi’ numerosi che il Petrarca la defini’ Domus Christi: dal famosissimo eremo di Spirito Santo, monumento nazionale, a vere e proprie grotte, quali gli eremi di S. Giovanni, S. Antonio, S. Angelo, etc. ((http://www.regione.abruzzo.it/turismo/parchi/majella/storia.htm))

Le streghe che nascevano la notte di Natale

Streghe Dalle nostre parti si dice “chi nasce la notte di Natale se è femmina sarà strega, se è maschio sarà lupo mannaro.” Per questo chi nasceva in questo periodo doveva essere “ferrato”, vale a dire che sul piedino doveva essere disegnato, con un ferro rovente, una croce che indelebile lo avrebbe marchiato per tutto il resto della vita. Strega deriva dal latino Strix che indica un uccello notturno, di solito rappresentato come un vampiro o un pipistrello. Ecco perché spesso, accanto alla strega, ritroviamo sempre un uccello di colore nero, il corvo. La strega nella credenza popolare è sempre una donna bellissima, ammaliatrice, tentatrice. Questo almeno in passato. Solo di recente, invece, è stata rappresentata come una donna vecchia, brutta, addirittura orripilante. Vista come figura in costante rapporto con il Diavolo, lei è la sola ad avere la capacità di realizzare pratiche magiche a fin di male. Nel mondo pagano , anche se era considerata un’incantatrice, svolgeva pratiche magiche in senso positivo e negativo. Le pratiche magiche erano svolte per lo più per favorire il raccolto, piuttosto che per distruggerlo. Accenni a questa pratica si trovano addirittura nelle XII Tavole, primo testo della legislazione romana. A quel tempo la legge non proibiva la magia rituale , se questa era usata a fin di bene, mentre interveniva , duramente, quando la stessa era usata per causare danni a persone o cose. Mentre in epoca romana la strega deriva dal culto di antiche divinità agrarie, addirittura da quello di Cerere oppure dalla Dea Maia. In Abruzzo, appunto terra della Dea Maia, che rappresentava la fertilità, si diffuse moltissimo il culto della mitica Angizia, dominatrice del veleno delle serpi, maga per eccellenza e temuta e rispettata in tutto il mondo. Tra i pagani la strega conservava la capacità di tramutarsi in animale, particolarmente in gatto. Tale capacità di trasformazione è ancora intatta nella tradizione odierna e, nelle nostre zone, è ricorrente la credenza che la strega si trasformi in gatto. Esse sono considerate, allora come oggi, creature dedite al maleficio; capaci di trasformarsi in ogni sorta di animale; dannose soprattutto ai bambini ai quali , di notte, succhiano il sangue e delle cui carni si cibano. Storia n.55 (racconto abruzzese derivante da testimonianze dirette) Mia cugina era nata la notte di Natale e, per questo, dall’età di due anni, certe notti spariva; se la venivano a prendere le streghe. Questo è successo , finchè non l’hanno marcata con un ago arroventato; è stata la levatrice a farlo, sotto il piede sinistro, le fece uscire un po’ di sangue; così la bambina perse quella virtù e non uscì più la notte con quella compagnia. Allo stesso orario in cui spariva la bambina, spariva anche il cavallo di un vicino di casa, forse perché serviva per portare lei. Bucchianico (CH)- Leonella Di Nardo, n.1928 ((un grazie particolare a http://www.triora.org/abruzzo_05.html))

Abruzzo Terra di Streghe

Misteri d’Abruzzo a caccia di streghe Nel 1916 a Lanciano (Ch) si tenne un sinodo che denunciava come una superstizione diffusa nella città il ricorso a rimedi non medici per la cura delle ferite e delle malattie. I confessori pertanto avrebbero dovuto mostrare ai penitenti che indulgere a queste pratiche era peccato e dissuaderle dal farvi ricorso. Anche il Sinodo di Sulmona (Aq) dell’aprile del 1602 , sotto l’egida del Vescovo Cesare Del Pezzo indicava, per es., come sospetti di eresia tutti coloro che possedevano libri di magia ; erano vietati i lamenti funebri, particolarmente in uso a Scanno, era infine imposto l’obbligo di chiudere i cimiteri affinché non potessero offrire l’opportunità a streghe e malefiche di estrarne materiale per svolgere la loro criminosa attività. Un manoscritto conservato presso l’archivio diocesano di Chieti, quasi sicuramente proveniente dalla Congregazione romana del S.Uffizio, disciplinava in modo minuzioso la procedura che i giudici avrebbero dovuto seguire in questa materia. In primo luogo era necessario interrogare i medici che avevano avuto in cura l’infermo attorno alla malattia , per sapere se la stessa fosse stata “naturale” o prodotta da maleficio. Nell’atto poi della carcerazione della sospetta strega andava fatta nella sua abitazione un’accurata perquisizione , al termine della quale il notaio avrebbe dovuto redigere un minuzioso inventario di tutto il materiale rinvenuto. Alcuni anni dopo , il Sinodo tenuto dall’Arcivescovo di Chieti Antonio Santacroce, nel suo cap.x, condannava tutta una serie di atti attraverso i quali si manifestavano le “poverette”: “ nessuno osi fare legaccio, nodo, anello, immagine, segno, breve, caratteri; dire parole sconosciute o superstiziose; preparare bevande superstiziose o fare altre cose del genere; o utilizzarle sia per attirare qualcuno all’amore o al matrimonio; o per “legare” persone tra loro sposate o per arrecare danno di qualsiasi genere al prossimo; o per liberare gli uomini o gli animali dalle malattie ; o per trovare tesori o cose rubate o per fabbricare oro o argento e altre cose dello stesso genere.” Chiunque, quindi, avesse compiuto tali atti con l’intenzione di nuocere a qualcuno o con l’espressa invocazione al demonio, e in questo modo avesse arrecato un danno concreto a qualcuno, avrebbe dovuto essere scomunicato senza indugi. Nel caso, invece, che dai sortilegi fosse derivata soltanto una infermità, il divorzio, l’impotenza di generare, un danno agli animali, alle messi, ai frutti, l’autore (o autrice) di tali atti avrebbe dovuto essere rinchiuso in un carcere perpetuo. Infine l’Arcivescovo vietava anche l’astrologia giudiziaria, la predizione del futuro attraverso l’osservazione delle stelle o delle linee della mano ed anche le “superstizioni e le fallaci cantilene” con le quali erano soliti ingannare il popolo. ((Un sentito grazie a http://www.triora.org/abruzzo_15.html))

Il culto della Dea a Creta

LA CIVILTA’ MINOICA E’ LA CULLA DELLA CIVILTA’ EUROPEA. E’ STATA SCOPERTA DALLE RICERCHE ARCHEOLOGICHE ALLA FINE DEL XIX SECOLO. LE TESTIMONIANZE SU CRETA RISALGONO ALLE FONTI DEI POEMI OMERICI SUBITO LA RICERCA HA AVVERTITO LA PRESENZA FEMMINILE E IL CULTO DELLA DEA MADRE LE RICERCHE ARCHEOLOGICHE DI MARIJA GIMBUTAS INIZIATE NEGLI ANNI '80 HANNO APERTO LA VIA A UNO STUDIO CHE VEDE IL PESO DI QUESTE SCOPERTE Chi è la Dea Madre e perché interessa alla storia? I soggetti di questi affreschi in miniatura sono religiosi. Le sacerdotesse sedute guardano la cerimonia e conversano: l’una con l’altra; in una posa di comunanza e reciprocità. Va confrontato con le tre Dame in blu. Nell’una e nell’altra raffigurazione le donne parlano fra loro. Ambientati nella vita religiosa l’uno e nella vita sociale l’altro. Le dame sollecitano l’idea di un pubblico. Le sacerdotesse sono in attesa di qualcosa che dovrebbe avvenire. Come sottolineano i commenti: è l’epifania della Dea che attendono, rappresentata nella Regina ? La regina è la dea dei serpenti, dei monti e della vegetazione. La ierofania, la rappresentazione della sacra dea è probabilmente anche raffigurazione di potenza regale, identificata dai simboli che la decorano e la accompagnano. La dea madre è arrivata fino a noi attraverso statue piccole tanto che l’archeologia ha definito 'giapponesi del Mediterraneo' gli artisti cretesi. E’ molto significativo che statuette del dio non esistano. Come se in carne ed ossa il potere sacro non avesse idola maschili. La potenza della dea è nella fecondità della natura, in ogni donna. E questa potenza avvolgeva la regina. Signora su una popolazione che aveva mantenuto intatta la capacità e il simbolo della civiltà in mezzo a popolazioni che da essa avevano imparato. A navigare e commerciare, a costruire, a amare l’arte e coltivare la pace. Marija Gimbutas ha visto la fondamentale caratteristica femminile della civiltà europea nella sua origine. Non è stata l’unica. L’archeologa ha levato la storia della dea madre mediterranea alla banalizzazione delle cose scontate. Lo studio della civiltà cretese è quindi necessità di cambiare il modo di pensare la storia e di interpretarla. La storia dell’occidente è tutt’altro che la catena di vittorie e sconfitte di popoli che il tempo trasmette attraverso i documenti storici. Oppure non è solo questo. E’ invece stata per Gijmbutas il risultato dello scambio fra i sessi e poi lotta contro i popoli che a queste culture, femminile e maschile, si ispirano. Interpretazione stimolante, oltre lo sguardo curioso e erudito delle manifestazioni di genere, capace di accogliere la ricerca storica rilanciando significati che dovrebbero interessare tutti, sia le donne che gli uomini. (assaggio preso da http://www.donneconoscenzastorica.it/testi/creta/boscosacro.htm ** che consiglio vivamente di leggere!!)

domenica 7 giugno 2009

I culti sincretici del cristianesimo e quanto ha preso dal paganesimo

La religione Cristiana presenta spesso , con nuove vesti, antichi retaggi culturali, rituali pagani assorbiti dalla nuova religione che però si ripresentano con forza tra le pieghe del manto tessuto proprio per nasconderle e coprirle. E’ così che il vento della riminiscenza fa gonfiare questi veli facendo assumere le forme di una antica figura pagana, la donna-sacerdotessa del culto arboreo, le cui sembianze oggi sono quelle di una strana vecchina, molto simile alle streghe perseguitate dalla stessa SANTA Inquisizione Cristiana. Essa ha avuto tanti nomi nel passato ma oggi potremmo chiamarla facilmente “befana”. Sara’ per conoscere le reali origini di questa tipica figura natalizia che dovremo addentrarci tra le lande desolate dei miti celtici fino ad arrivare agli antichi culti arborei e naturali. La figura della donna maga, poi trasformata in “vecia” per renderla piu’ spaventosa e reietta dalla nuova religione, proviene dalla figura della vergine sacra tipica di diversi culti di divinita’ maschili e arboree come Bacco e Dioniso e sara’ proprio dalle sacerdotesse di quest’ultimo che prenderà corpo l’immagine della strega medievale. Con l’avvento del Cristianesimo tutti i rituali pagani che gia’ avevano perso i profondi significati dell’antica religione iniziarono ad esser demonizzati, gli antichi luoghi sacri divennero posti di incontro con il diavolo che , proprio in quel periodo, iniziava ad esser rappresentato con un aspetto del tutto simile a quello di divinita’ arboree tipo Pan , meta’ uomo e meta’ capro. Le numerose rappresentazioni iconografiche di cerchi di donne danzanti attorno al “caprone”, tipiche del periodo medievale ed inquisitorio, portano subito alla mente gli antichi rituali arborei o successivamente Orfico-dionisiaci. Del resto lo stesso Sabbah , la “festa” delle streghe sembrerebbe etimologicamente provenire proprio da uno degli antichi nomi di Dionisio, o altressì Sabazio, con il quale era conosciuto il Tracia. Come nell’antica religione legata alla fertilità e alla procreazione, anche in questi rituali successivi elemento fondamentale e’ il simbolo fallico, il “priapos” o se vogliamo, l’albero della vita. Ed ecco che il Sabba si tiene attorno al mistico noce, l’albero dalla grande chioma , non scelto a caso ma a per i suoi frutti che tanto ricordano i pomi degli antichi miti nordici. Uno dei piu’ famosi alberi di noce legati alle streghe e’ quello di Benevento, i cui primi rituali risalgono al VII sec. quando si narra che i Longobardi praticassero un rito propriziatorio appendendo al noce delle palle di caprone e per poi colpirle con delle frecce e ridurle in piccoli brandelli che poi venivano mangiati. Nel XII sec. iniziarono a spargersi le voci di rituali stregoneschi attorno all’albero tanto che il vescovo locale lo fece abbattere e costrui’ la chiesa di Santa Maria in Voto , ma tantissime sarebbero le leggende simili in tutta narrate Italia. Questi rituali arborei richiamano molto l’usanza del’ magico albero di natale , l’abete sotto il quale si depositano in ogni casa i doni per i bimbi buoni. La tradizione dell’albero di Natale e’ un’usanza che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che risale ad antichi riti pagani legati al solstizio d’inverno. Oggi l’albero si presenta adorno di luci e illuminazioni, decorazioni, fili colorati e nastri che ricordano i capelli delle fate o le illuminazioni che riportano alle tradizioni dei falo’ e del “ceppo” di Natale. Da tempo immemorabile , infatti, i contadini di tutta Europa usavano accendere falo’, i cosi detti fuochi di gioia , non e’ neanche raro che in questi fuochi si ardessero fantocci o si fingesse ardere una persona viva. Le date per l’accenzione sono molte e coincidono spesso con le feste dell’anno celtico, in particolare nel solstizio d’inverno era usanza accender falo’ perche’ l’uomo primitivo in corrispondenza di quei giorni in cui il calore del sole e la sua luce iniziava a diminuire, quasi come per magia “simpatica” ,accendeva fuochi in terra quasi per riportare il calore e la luce tra gli uomini.La prima cosa da notare e’ la notevole somiglianza tra i vari rituali che prevedono l’accenzione di questi fuochi. Le spiegazioni che gli antropologi hanno dato sono essenzialmente due: tali riti si basassero su una magia imitativa del ciclo solare, o dall’altra che avessero una funzione purificatrice. Il “ciocco” di Natale, di solito di olivo , betulla o molto piu’ frequentemente di quercia , era spesso associato alla divinita’ del tuono e da qui la convinzione che proteggesse la casa dai fulmini . Molti ancora erano i suoi “poteri”, per esempio, le sue ceneri erano disperse nelle campagne per renderle piu’ fertili , o ancora sarebbero nati un numero di capretti pari a quello delle scintille che fossero saltate fuori dal fuoco. L’albero e’ anche un simbolo cosmico oltre che solare , rappresenterebbe un trait d union tra la terra , simboleggiata dalle sue radici , e il cielo, rappresentato dai rami, cosi’ l’abete natalizio altro non sarebbe che una imitazione del Frassino Universale , il Yggdrasil delle tradizioni nordiche , l’albero al quale rimase appeso Odino per raggiungere la conoscenza suprema e tra le cui radici ancora oggi , tra mille luci si trovano i “doni” natalizi che ancora simboleggiano la sua generosità. Il Sacro Vischio Sempre legato alla tradizione natalizia e arborea e’ il mistico vischio, considerato una pianta magica per la sua origine: non spunta dal terreno ma, nascendo sui tronchi dei meli, delle querce e dei pioppi, sembra nascere dal cielo , inoltre le sue bacche si sviluppano in nove mesi proprio come il feto umano e si raggruppano in numero di tre, numero da sempre sacro in tantissime culture. Presso i Druidi il Vischio era considerato una pianta sacra e veniva reciso dall’albero su cui nasceva con una solenne cerimonia, usando un falcetto d’oro, infatti il vischio e’ una tipica pianta lunare e dunque , recidendola con un metallo legato alla divinità solare come l’oro si riunivano le opposte energie. Lo stesso falcetto, la cui forma è proprio quella della Luna crescente altro non sarebbe che un simbolo di riunione delle energie del cosmo e dei due principi, quello femminile e lunare con quello maschile e solare. La raccolta del vischio avveniva in due momenti particolari dell’anno, a Samhain, il primo Novembre , vero e proprio Capodanno celtico e durante il Midsummer’s Eve, la famosa festa di San Giovanni. Queste tradizioni legate alla pianta le ritroviamo anche nella cultura romana quando Enea chiede alla Sibilla il permesso di Apollo per scendere nell’Averno a trovare il padre Anchise, si sente rispondere che è indispensabile, per affrontare tale viaggio, avere con sé il Ramo d’Oro, che dovrà essere dato in dono a Proserpina. “Come ne’ boschi al brumal tempo suole di vischio un cesto in altrui scorza nato spiegar le verdi fronde e gialli i pomi, e con le sue radici ai non suoi rami abbarbicarsi intorno; così ‘l bronco era de l’oro avviticchiato a l’elce, ond’era surto; e così lievi al vento crepitando movea l’aurate foglie.” Tra le varie tradizioni di prosperità legate al vischio, c’è quella che vuole il baciarsi sotto la pianta perché di buon auspicio, tradizione che ancora oggi si effettua in molte case, e sopravvissuta alla religione cristiana , deriva da antiche conoscenze druidiche che vorrebbero il vischio una pianta apportatrice di fecondità dato che le sue bacche , schiacciate davano un liquido molto simile al “seme” maschile. -La figura della befana E’ in questo contesto che si inserisce la figura della befana, la vecchia , portatrice di abbondanza e legata ai rituali di fertilita’, che dispensa doni e “carbone” ai bimbi meritevoli ponendo i suoi regali in vecchie calze la cui forma ricordano fortemente la cornucopia. In realta’ la figura della vecchia e’ stata successivamente travisata dalla moralistica religione cristiana che le ha dato il potere di premiare o punire cambiandone fortemente i connotati. Infatti lo stesso carbone, sinonimo di “punizione” e’ in realta’ un simbolo di fertilita’ legato al culto arboreo, alle tradizioni dei fuochi sacri e del ceppo natalizio. Moltissime sono in Italia le tradizioni legate alla vecchia , chiamata anche Ardoiee, Berta, Donazza, Gianepa o Marantega, nome che si avvicinerebbe a Mater Antiqua, e che spesso la vedono, come le streghe , a cavalcioni su una scopa. E’ in questo strano intricarsi di elementi che prende corpo l’immagine della scopa stregonesca, attrezzo magico che ricorda fortemente il bastone o la “bacchetta magica”, simbolo priapico e al tempo stesso legato all’albero. Anche la tradizione della scopa potrebbe derivare dagli antichi culti dionisiaci e in particolare dal Tirso, il mitico bastone avvolto da foglie d’edera e vite e con in capo una pigna, elemento legato alla fertilità a causa dei “frutti” che nasconde nel suo seno. Nel medioevo si credereva che la scopa fosse il mezzo di trasporto delle streghe che, attraverso essa, raggiungevano i loro raduni. In particolare in Valcamonica, ad esempio, si racconta che le streghe conoscevano un incantesimo che trasformava le scope in cavalli e che sopra di essi raggiungessero la cima del Tonale ove avevano i loro conciliaboli. In realtà la scopa, spesso dichiarato arnese delle streghe usata proprio dalle donne nei lavori domestici in realtà è un simbolo priapico che solo successivamente , verso il XV sec. acquista l’immagine della famigerata scopa e la sua stessa posizione , tra le gambe della donna, la rendono un fortissimo simbolo di fertilità e prosperità. Ancora oggi , dunque , nel santo periodo natalizio , strane donne a cavalcioni di scope , alberi illuminati , piccole bacche bianche ci fanno rivivere antiche tradizioni di un mondo e un culto oramai perduto: La Foresta. (un grazie al bellissimo sito: http://www.unknown.it/storia/le-tradizioni-natalizie-e-il-culto-arboreo/ e ad Andrea Romanazzi, l'autore del testo, al quale nulla si intende sottrarre)

L'Acqua, la Dea e le Madonne delle sorgenti

Il Culto Delle Acque E La Dea Acquatica Nell’Italia MeridionaleScritto da Andrea Romanazzi - gennaio 7th, 2009 - Pubblicato sotto Archeologia e Storia, Esoterismo, tradizioni popolari Il folklore italiano presenta spesso, nelle sue molteplici tradizioni e leggende, antichi retaggi culturali e rituali pagani assorbiti dalle usanze popolari, che però si ripresentano con forza nel tessuto popolare che ci circonda e che fanno capo alla dea dal volto bruno, la Mater che dona la vita e la morte. Molteplici sono gli aspetti legati alla figura ctonia della dea della fecondità e tra questi di particolare rilievo appaiono quelli legati agli antri e al culto delle acque. Già dal VII sec. a.C. in moltissime grotte europee sono presenti i segni del culto delle pozze carsiche e delle sacre stalattiti o stalagmiti spesso ornate dai simboli della dea. Se l’antro rappresenta il metaforico ventre della divinità, la stalattite diventa l’elemento priapico, l’immagine “acheropita” del dio generato dalla stessa mater. L’acqua accumulandosi in piccole cavità lascia il suo contenuto di carbonato di calcio e genera quelle concrezioni calcaree che sembrerebbero materializzarsi nel ventre della sua sposa. Elemento importantissimo del culto diventa così l’acqua e le sorgenti, il mistico liquido che microcosmicamente ricorda la misteriosa umidità del “sesso” femminile e i liquidi naturali secreti dalla donna, che avvolgono l’infante nel momento della sua nascita. Sarà questa acqua carbonatica che, a causa del suo colore lattescente, assume nell’immaginario popolare le sembianze del latte della Mater e dà vita alla tradizione tutta italiana delle “pocce lattaie” o “latte di grotta”. Ancora oggi, secondo le tradizioni contadine, l’acqua delle sorgenti o quella raccolta in piccole pozze carsiche ha notevoli poteri curativi il cui ricordo rimane ben saldo nelle culture contadine successive ove alla sacra “coppella” è sostituito il pozzo, simbolo religioso ma anche materiale dato che l’acqua in esso accumulata può garantire la sopravvivenza di una famiglia o del raccolto. Il culto del pozzo come luogo sacro è già testimoniato da ritrovamenti di ceramiche votive dell’Eneolitico e proseguirà successivamente,, infatti sarà da questi atavici ricordi che nasce nel Medioevo la valenza magica di questi luoghi tramandata ancora oggi nelle leggende popolari che narrano di “pozzi dei desideri” ove basterebbe lanciare una moneta per realizzare quello a cui si aspira fortemente. Successivamente con l’avvento della religione cristiana questi antichi luoghi di culto vengono demonizzati, e quindi il pozzo diventa la via per accedere agli inferi o spesso legati a santi, alla Vergine,a Santa Verena o a Santa Brigida. Un interessante esempio potrebbe essere la il St. Brigid’s Well a Liscannor, la leggenda narra che la Santa giunse in questo luogo e raccogliendo a se tutti i pagani li battezzò con l’acqua della fonte ivi presente e ancora oggi il 1 Febbraio, data non casuale ma coincidente proprio con l’antica festa del fuoco di Imbolc. Si narra che l’acqua del pozzo abbia notevoli poteri taumaturgici e così si usa bagnare un pezzo di stoffa nella fonte e passarlo poi sul volto per guarire malattie agli occhi e successivamente appeso su di un albero, rituale che ricorda i culti arborei da sempre legati alla dea. Altro luogo dedicato alla Madonna e alle miracolose acque è Chatres in Francia, sito sacro alle popolazioni celtiche e galliche che veneravano la dea madre all’interno di una grotta nelle vicinanze e utilizzavano le sacre acque ivi presenti per i loro rituali di fertilità. Tradizioni legate al culto delle acque e della dea le troviamo diffuse in particolare nel sud Italia ove la tradizione della dea si è conservata per millenni nelle figure delle “masciare” le streghe-guaritrici che ancora fino ai primi del ‘900 operavano nelle campagne. In Basilicata ancora oggi possiamo ritrovare nella toponomastica dei luoghi le tracce di un antico culto mai del tutto dimenticato, pensiamo a Melfi o al termine “Mofeta”, che riecheggiano il nome dell’antica divinità autoctona Meftis, dea della fertilità e prosperità e alla quale si raccomandavano le giovani spose partorienti, per arrivare al fiume Bradano, il cui nome nasconde nel “dan” il ricordo degli antichi popoli legati alla dea Dana, divinità che abbiamo incontrato anche nelle culture nordiche e che lega indissolubilmente popoli anche lontani tra loro come i Danai, i Dauni, gli Shardana, i Tuatha de Danann, i popoli autoctoni di quella zona dell’Europa dell’Est oggi vicina al Danubio e molti altri ancora. Molto interessante è poi Matera, la “Mater Dea” che nasconde nel suo grembo di cunicoli, antri e anfratti i ricordi della dea e dove ancora oggi o ancora si venera il culto della Vergine Bruna, la venere “nigra sum sed formosa” che, sotto le sembianze della Madonna, nasconde atavici ricordi di un culto mai scomparso. Un interessante centro è “Labrum” o meglio nota oggi come Lavello, “l’Abbeveratoio”, ove è stata portata alla luce una enorme acropoli nei pressi del cimitero cittadino e un tempio dedicato proprio a Mefite. Moltissimi poi sono i ritrovamenti legati a questa antica divinità, in località Murgia Timone ad esempio, nei pressi di Matera sono presenti monumenti enigmatici non molto facili da spiegare se non nell’ottica del culto delle acque. Questi sono costituiti spesso da un doppio cerchio di pietre con al centro un foro che conduce nell’ipogeo, il ventre della dea segnato dal circolo femmineo esterno che indica la sacralità del luogo. Spesso questa entrata era ricoperta da cumuli di pietre e alcuni sono ancora visibili con una funzione che spesso è considerata oscura e che troppo facilmente si è definita sepolcrale. In realtà questi cumuli lapidei, spesso definiti “specchie”, avevano un ruolo importantissimo nel culto della dea delle acque, infatti per un semplice fenomeno di condensa la brina che si accumulava durante la notte tra le pietre condensava di giorno cadendo così nella camera sottostante, per il primitivo erano proprio questi massi a creare il liquido vitale, la dea che con il suo fresco umore garantisce la vita e la fertilità e dunque luoghi ove sicuramente si raccoglieva l’acqua per abluzione rituali e per garantire prosperità alle donne. Moltissime poi sono le cisterne e le coppelle sacre presenti nelle rocce e che servivano per la raccolta delle acque. Nei pressi Vaglio e Macchia Rossano, scavi archeologici hanno portato alla luce templi costituiti da grossi massi sui quali erano intagliati dei canali che portavano in loco l’acqua delle sacre fonti presenti nella zona. Anche in questo caso le numerose iscrizioni ritrovate hanno permesso di attribuire il luogo al culto della dea Mefite, e successivamente a quello di Venere e della ninfa Oina, il cui ricordo ancora oggi si cela tra i ricordi di una festa patronale dedicata alla Madonna e ad una sorgente che si trova nelle vicinanze. Sicuramente questo luogo era dedito, oltre che al culto acquatico, alla pratica della prostituzione sacra tipica dei rituali della dea come testimoniato da alcune dediche a Venus Ercynia il cui rituale era legato alle sacre meretrici. La stessa idea la ritroveremo poi in due dei centri più antichi dell’area di culto in Lucania, datati VI sec. a.C., Garaguso e Armento ove la presenza di antiche canalizzazioni riportano prepotentemente ai rituali acquatici e delle fonti. Per quanto riguarda il primo, presso alcune sorgenti del paese sono stati trovati diversi depositi votivi, uno in contrada Fontanelle, il cui nome appunto ci rammenta il legame con i culti acquatici, e un secondo, scoperto nel 1922, in località Filera. Molto interessanti sono stati i rinvenimenti, statuette di divinità femminili in piedi o sedute, portatrici di frutta e fiori, la statuetta della dea accompagnata da un porcellino o meglio un cinghiale, animale totemico dei culti arborei e una focaccia su di un piccolo vassoio, offerte votive per chiedere fertilità alla dea. Altro interessante sito piuttosto simile a quello di studio è quello che si trova nel bosco di cupolicchio ad Albano di Lucania, qui sarebbero presenti massi erratici e rudimentali vasche ricche di pittogrammi e graffiti. La tradizione dei santuari dell’acqua è presente anche in Calabria, testimoniata da antiche tradizioni ancora oggi celate nel folklore locale, e così che per conoscere e entrare nel mistico “circolo femmineo” dovremo seguire le orme della dea che ancora oggi riecheggia nella regione tra cupe rocce megalitiche e volti di brune vergini. Una interessante scoperta che collega prepotentemente queste aree al culto delle acque e della mater è quella recentemente effettuata nelle campagne di Nardodipace in località Sambuco e successivamente nelle aree limitrofe dei territori comunali si Serra S.Bruno e Stilo. Qui sono state individuate strutture megalitiche datate V-III millennio a.C. sicuramente collegate al culto delle acque. In quelli che sono stati definiti dagli studiosi i siti “A” e “B” sono presenti strane strutture megalitiche e diverse coppelle rituali, anche di enormi dimensioni tanto da poterle assimilare a vasche che ci riportano ai culti precedentemente descritti. Non si conosce ancora la reale funzione di questi templi megalitici ma sicuramente essi sono legati al culto della fertilità e alla “mater aqua” che fa se stessa immanente nella grotta, alla guardia di quel mistico liquido che assicura la vita. Del resto il culto della dea Madre non è estraneo a queste terre come testimoniato dai templi dedicati a Persefone e Demetra presenti a Vibo Valentia e dove son state ritrovate moltissime sono le statuette votive raffiguranti la dea e il toro, i suo animale totemico. Ma forse ancora più importanti sono le testimonianze lasciate nelle famose lamine d’oro ritrovate a Vibo che ci descrivono il culto di Demetra e delle sacre acque riecheggiando atavici ricordi mai del tutto scomparsi. “…troverai a sinistra delle case di Ade una fonte ed accanto ad essa un bianco cipresso: a questa fonte non avvicinarti neppure. Ma ne troverai un’altra, fredda acqua che scorre dal lago Mnenosyne: vi stanno innanzi custodi. Dì “son figlia della terra e del cielo stellato, Urania è la mia stirpe e ciò sapete anche voi. Di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto la fredda acqua che scorre dal lago Mnenosyne”. Ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina E dopo d’allora con i sacri dei eroi sarai sovrana. A Mnenosyne è sacro questo (testo): per il mystes a quando sia sul punto di morire… Bibliografia AA.VV. Popoli Anellinici in Basilicata Napoli 1971 AA.VV. Il sacro e l’acqua. Culti indigeni in Basilicata, Roma 1998 J.Frazer: “Il Ramo d’Oro” Bolati-Boringhieri .Romanazzi: “Guida alla Dea madre in Italia” Venexia Editrice, Roma, 2005

Amaterasu, la Dea che splende nei cieli

Amaterasu-ō-mi-kami (天照大御神? letteralmente "Grande Dea che Splende nei Cieli"), generalmente abbreviato in Amaterasu, è la dea del Sole (divinità da cui discendono tutte le cose) nella religione shintoista. È considerata la mitica antenata diretta della famiglia imperiale giapponese. Amaterasu è comunemente indicata come di sesso femminile, nonostante il Kojiki, il più antico documento scritto della storia nipponica, dia pochi indizi riguardo il suo sesso: il linguaggio giapponese antico non usava pronomi specifici per i generi. Alcuni altri libri come lo Hotsuma Tsutae, descrivono la divinità come maschile. Esistono tre differenti leggende sulla sua nascita: Secondo quanto narrato nel Kojiki ("Memorie degli eventi antichi") ed in un testo alternativo del Nihonshoki ("Annali del Giappone"), Amaterasu, la prima dei tre figli nobili di Izanagi, nacque dal suo occhio sinistro mentre questi stava purificando sé stesso in un fiume dopo la sua visita al mondo sotterraneo (Yomi-Tsu-Kumi). Izanagi gli affidò il governo delle Alte Pianure Celestiali (Takamagahara) ed il gioiello Mikuratana no Kami. Il testo principale del Nihonshoki racconta invece che Izanagi e Izanami crearono tutti i kami della terra, quindi per dare loro un "Signore di tutti" crearono insieme Taiyo no Kami ("Kami del Sole"), a cui affidarono il compito di governare sugli affari dei cieli. In una terza versione (contenuta sempre nel Nihonshoki) Amaterasu viene creata da uno specchio di rame bianco tenuto in mano da Izanagi. Il Kojiki riporta un antico racconto che è chiaramente un esempio dell'occorrenza del tema della scomparsa del Sole. In seguito ad una discussione con il suo indisciplinato fratello, il dio della tempesta Susanoo, questi distrusse gli argini delle risaie piantate da Amaterasu e ne ostruì i fossati. Amaterasu ne fu così imbarazzata da ritirarsi nella caverna Ama-no-Iwato precipitando il mondo nell'oscurità. Le altre divinità la pregarono di uscire fuori senza successo. Quindi la dea Ama-no-Uzume ebbe un'idea, appese un specchio ad un albero vicino ed organizzò una festa, esibendosi in una danza erotica di fronte alla caverna. Fece ridere talmente tanto gli altri dei da incuriosire Amaterasu e spingerla a sbirciare fuori. Vedere il proprio riflesso nello specchio la stupì talmente che gli altri dei riuscirono a tirarla fuori dalla caverna ed a convincerla a ritornare nel cielo. Successivamente inviò suo nipote Ninigi-no-Mikoto a pacificare il Giappone, a lui donò la spada sacra Kusanagi, il gioiello Yasakani no magatama e lo specchio Yata no kagami, che divennero i primi simboli imperiali giapponesi. Il pronipote di Ninigi-no-Mikoto fu il primo imperatore del Giappone, Jinmu. Ad Amaterasu viene anche attribuita l'invenzione della coltivazione del riso e del frumento, l'uso del baco da seta e la tessitura con il telaio. Il suo santuario più importante, il Grande Santuario di Ise è situato ad Ise, sull'isola di Honshu. Il santuario viene abbattuto e ricostruito ogni venti anni. In questo santuario viene rappresentata da uno specchio. Ogni 17 luglio viene celebrata con processioni nelle strade in tutto il paese. Il solstizio d'inverno 21 dicembre, si celebra la sua uscita dalla caverna. Fino alla fine della seconda guerra mondiale la famiglia reale giapponese ha proclamato di discendere da Amaterasu, e l'imperatore veniva considerato un essere divino.

Una delle forme della Dea: Sekhmet

Sekhmet il cui nome significa "Colei che è potente" era una divinità solare zoomorfa della mitologia egizia. Centro del suo culto era a Letopolis nel 2° distretto del Basso Egitto. Veniva raffigurata come leonessa o come una donna dalla la testa leonina, ed a partire dalla XVIII dinastia acquisì anche i simboli divini quali il disco solare, l'ureo ed il bastone uadj. Dalla parola egizia sekhem che significa potere derivano sia lo scettro e, con l'aggiunta della desinenza et indicativa del femminile, il nome della dea. Figlia di Ra, nella tarda teogonia menfita a partire dal Nuovo Regno, era membro della triade come sposa di Ptah e madre di Nefertem, prendendo anche l'epiteto di "La grande, amata da Ptah". Era la terribile dea della guerra che impersonificando i raggi dal calore mortale del sole incarnava il potere distruttivo dell'astro ma anche l'aria rovente del deserto i cui venti erano il suo alito di fuoco e con i quali puniva i nemici che si ribellavano al volere divino. Rappresentava anche lo strumento della vendetta di Ra contro l'insurrezione degli uomini imponendo l'ordine del mondo. Portava morte all'umanità ma era anche la dea protettrice dei medici come citano i papiri medici Ebers ed Edwin Smith ed i suoi sacerdoti, molto potenti erano spesso chiamati per la cura di patologie ossee, quali le fratture. Dal carattere molto pericoloso questa dea aveva quindi un lato benevolo che richiedeva rituali specifici soprattutto durante gli ultimi cinque giorni dell'anno lunare, giornate queste estremamente pericolose. Era temuta persino nell'Aldilà dove il malvagio Seth ed il serpente Apopi venivano sconfitti dalla dea che abbracciava con le sue spire di fuoco Ra nel suo viaggio notturno. Sekhmet incarnava il fiammeggiante Occhio di Ra ed era in questo caso assimilabile a Tefnet. Narra il mito della Dea Lontana che Ra, adirato con gli uomini che avevano cospirato contro di lui, la inviò per ucciderli, ma dovette poi fermarla ubriacandola con la birra, colorata di rosso come il sangue, per far sopravvivere il genere umano. La dea, assetata di sangue, che stava uccidendo sistematicamente tutti gli uomini dopo aver bevuto la birra si addormentò ed al risveglio prese le sembianze di Bastet che rappresentava solo le qualità benefiche del sole. Per ricordare la terribile circostanza, nacque la Festa dell'Ebbrezza, celebrata nella stagione di Akhet ossia dell'inondazione del Nilo e nella quale venivano preparate grandi quantità di birra. L'attributo di Colei che è potente era in realtà attributo di Hathor e fu quest'ultima, per punire gli uomini ribelli, che si trasformò in Sekhmet a sua volta identificata, oltre alle già citate Bastet e Tefnet, anche in Uadjet. Più di cinquecento statue della dea sono state trovate nel tempio di Karnak , fatte erigere da Amenofi III per non inimicarsi la crudele dea. Successivamente Mut, la dea di Tebe, assorbì per sincretismo le caratteristiche ed i compiti della dea Sekhmet, che ne divenne così il suo lato negativo ed oscuro. (grazie a wikipedia)

...un pò di preferenze...

Ovviamente questo è un posto privato, è un blog e vi metto quel che mi interessa, non è un luogo dove "fare pubblicità", ma spesso per troppo rispetto umano ci si dimentica dell'ovvio. Si dimentica che non è reato consigliare un libro o un'autrice. Alla fine di opinione personale si tratta no? Ed è una Autrice che desidero consigliare, una donna davvero in gamba. LUCIANA PERCOVICH Attiva nel movimento delle donne dagli anni ‘70, docente e ricercatrice della Libera Università delle Donne di Milano, ha diretto collane di saggistica e scritto su varie riviste occupandosi di medicina delle donne, scienza, antropologia, mitologia e spiritualità femminile. Attualmente organizza conferenze e seminari sul sacro femminile insieme a noti personaggi internazionali (Vicki Noble, Mary Daly, Joan Marler) e opera per divulgare anche in Italia il lavoro di Marija Gimbutas e di altre studiose, italiane e straniere, sulla riscoperta delle radici femminili delle civiltà storiche. Tra le sue pubblicazioni possiamo elencare Posizioni amorali e relazioni etiche, Melusine, 1993 (tradotto in Figuras de la madre, Madrid, 1996) e La coscienza nel corpo. Donne, salute e medicina negli anni Settanta, Fondazione Badaracco-Franco Angeli, 2005 e, a più mani, Verso il luogo delle Origini, La Tartaruga, 1992; Donne del Nord/Donne del Sud. Verso una politica della relazione tra diversità, solidarietà e conflitto, Franco Angeli, 1994; T. G. H. Strehlow, I sentieri dei sogni. La religione degli aborigeni dell’Australia Centrale, Mimesis,1997. (un sentito grazie a http://www.venexia.it/Biografie/Percovich/Percovich.htm)

domenica 31 maggio 2009

Litanie ad Iside

LITANIE EGIZIANE

Santa Iside. Madre Universale. Madre degli dei. Madre di Horus. Anima Madre dell’universo. Sacra Vergine Terra. Madre d’ogni vivente. Illustrissima Iside misericordiosa e giusta. Specchio di Giustizia e Verità. Misteriosa Madre degli uomini. Loto sacro. Sistro aureo. Astante. Regina dei Cieli e della Terra. Vergine Madre.

sabato 2 maggio 2009

Iside, Regina Caeli

I nomi della Grande Madre sono tanti: Inanna per i Sumeri, Ishtar per gli Accadi, Anat ad Ugarit, Atargatis in Siria, Artemide-Diana ad Efeso, Baubo a Priene, Aphrodite-Venere a Cipro, Rea o Dictinna a Creta, Demetra ad Eleusi, Orthia a Sparta, Bendis in Tracia, Cibele a Pessinunte, Ma in Cappadocia, Bellona a Roma.

In Egitto il suo nome è Iside. Figlia di Nut, dea del Cielo, e di Geb, dio della Terra. Sposa di Osiride, ucciso da Seth, dio del deserto, e risorto per opera della stessa Iside.

Iside è la madre di Horus, il dio fanciullo che appare in numerose rappresentazioni in braccio ad Iside che lo allatta. Osiride si reincarna in Horus, nato dall'unione con Iside dopo la resurrezione.

La triade Iside, Osiride ed Horus rappresenta la continuità della vita, la vittoria sulla morte, la vita oltre la morte.

Con l'avvento della dinastia tolemaica (323 a.C.) il culto di Iside si diffuse in tutto il Mediterraneo. Iside divenne il prototipo della Madre e del Figlio.

Si trovano testimonianze del culto di Iside ad Atene, a Titorea presso Delfo (dove si trovava il più sacro dei santuari greci di Iside), in molti centri della Grecia, nelle isole dell'Egeo (in particolare a Delo), in Asia Minore, in Africa settentrionale, in Sicilia, in Sardegna, in Spagna, in Italia (soprattutto in Campania a Pompei, Pozzuoli, Ercolano), in Gallia e in Germania.

A Roma il culto ebbe un grande successo. Verso l'88 a.C. era in funzione a Roma un collegio di pastophori: una confraternita di sacerdoti che portavano nelle processioni piccole edicole con le immagini divine.

Nel 65 a.C. un altare dedicato ad Iside sul Campidoglio venne distrutto per ordine del Senato.

I seguaci di Iside, appartenenti a tutte le classi sociali, furono coinvolti nelle lotte politiche e sociali degli ultimi tempi della Repubblica. Il Senato ordinò la distruzione di templi, altari e statue della dea nel 58, nel 54, nel 50 e nel 48 a.C.

Nel 50 a.C. il console Emilio Paolo non trovò nessun operaio disposto ad abbattere il santuario di Iside.

Nel 43 a.C. i triumviri (Antonio, Ottaviano e Lepido) promisero di consacrare un tempio isiaco a spese della Repubblica. Ma la promessa non venne mantenuta.

Dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) e la morte di Cleopatra (69 a.C.-30 a.C.) e di Antonio (81 a.C.-30 a.C.) le persecuzioni contro i culti greco-egiziani ripresero.

Nel 28 a.C. Augusto (63 a.C.-14 d.C.) proibì il culto di Iside entro il recinto sacro della città (pomoerium).

Nel 21 a.C. Agrippa, in assenza di Augusto, proibì i culti alessandrini entro un chilometro e mezzo dalla città.

Nel 19 d.C. Tiberio (42 a.C.-37 d.C.) fece demolire il tempio di Iside e gettare nel Tevere la statua della dea.

La situazione cambiò con Caligola (12-41), pronipote di Augusto e di Antonio, che costruì un grande tempio dedicato ad Iside in Campo Marzio: l'Iseo Campense.

Claudio (10 a.C.-54 d.C.), Nerone (37-68) e Vespasiano (9-79) diedero il loro appoggio al culto della dea. Vespasiano, prima di festeggiare insieme al figlio Tito la vittoria sugli ebrei ribelli, trascorse una notte di preghiera nell'Iseo per ringraziare la grande dea. Nel 71 venne coniata una medaglia con l'Iseo Campense.

Domiziano (51-96) si salvò dai partigiani di Vitellio nascondendosi in una processione isiaca. Quando l'Iseo Campense venne distrutto da un incendio nell'80 d.C. Domiziano lo ricostruì.

Nel secondo secolo d.C. Roma divenne il centro della religione di Iside: divenne la sacrosancta civitas secondo la denominazione di Apuleio nelle Metamorfosi.

Adriano (76-138) volle costruire nella sua villa imperiale di Tivoli un Canopo in miniatura culminante in un Serapeo. Nel 126 inaugurò un santuario dedicato ad Iside a Luxor. Nel 127 fece costruire ad Ostia un Iseo.

Marco Aurelio (121-180) invocò l'ausilio degli dei egiziani per salvarsi durante una crisi militare in Bosnia.

Commodo (161-192) si fece rasare come un pastoforo. Le monete del suo tempo lo mostrano in compagnia di Iside e di Serapide.

Settimio Severo (146-211) favorì il culto isiaco. Sulle monete di Julia Domna, seconda moglie dell'imperatore, si vede Iside che allatta Horus.

Caracalla (188-217) riammise il culto isiaco entro i confini sacri della città di Roma. La religione della grande dea raggiunse il suo apogeo.

Alessandro Severo (208-235) restaurò l'Iseo Campense e gli altri templi della dea.

Diocleziano (245-316), che regnò fino al 305 d.C. quando decise di abdicare, costruì probabilmente l'Iseo della IIIRegio (quartiere) di Roma. Fece coniare molte monete con la dea Iside.

In tutto l'Impero Romano si ritrovano simboli della dea su gioielli, spille, fermagli, anelli. Vennero costruiti santuari, statue e monumenti in molte località.

Due solenni festività legate a Iside venivano celebrate nell'Impero Romano: il Navigium, o vascello di Iside, il 5 marzo e l'Inventio di Osiride, dal 29 ottobre al 1° novembre.

Questa felice era ebbe termine nel 312 con l'avvento al trono di Costantino (280-336).

Dopo l'editto di Costantino (313 d.C.) i cristiani iniziarono a perseguitare le altre religioni.

Nel 380, con l'editto di Tessalonica, Teodosio (347-395) dichiarò il cristianesimo religione di stato. Tutti gli altri culti furono proibiti, i templi distrutti, le statue abbattute, i sacerdoti e i fedeli processati dalle autorità o linciati dalle folle guidate da vescovi e monaci fanatici.

Nel 391 Teofilo, il patriarca cristiano di Alessandria, chiamò i monaci a "purificare" la città del Serapeum.

Nel 394 vennero celebrati gli ultimi riti ufficiali in onore di Iside a Roma.

Nel 396 il barbaro Alarico, re dei Goti, al cui seguito erano gli "uomini vestiti di nero" (i monaci cristiani), incendiò il santuario di Eleusi.

Nel 415 un gruppo di monaci cristiani, seguaci del patriarca di Alessandria, Cirillo, linciò Ipazia (370-415), donna che aveva raggiunto una grande fama nella filosofia e nella matematica, figura rilevante della scuola neoplatonica, esponente del mondo intellettuale pagano. Con la sua morte iniziò il declino di Alessandria come centro culturale.

Nel 536 l'imperatore Giustiniano (483-565) ordinò la chiusura dell'ultimo tempio di Iside, situato nell'isola di File sul Nilo ai confini con la Nubia, e lo fece trasformare in una chiesa cristiana.

Era finito per sempre il culto della "Dea dai molti nomi"?

Nel 431 i vescovi cristiani si erano riuniti ad Efeso, la città sacra alla dea Artemide, una delle manifestazioni della Grande Madre. Il Concilio decretò che Maria, madre di Gesù, doveva essere chiamata TheotokosMater Dei, Madre di Dio. L'antico titolo della grande dea Iside.

FONTE: http://www.maat.it/livello2/iside-01.htm

giovedì 30 aprile 2009

domani è Beltane

Beltane o Beltaine (dal gaelico irlandese Bealtaine o dal gaelico scozzese Bealtuinn; entrambi dall'antico irlandese Beletene, "fuoco luminoso") è un'antica festa gaelica che si celebra attorno al 1º maggio. "Bealtaine"  è anche il nome del mese di maggio in irlandese ed è anche tradizionalmente il primo giorno di primavera in Irlanda. È il giorno situato a metà fra l'equinozio di primavera ed il solstizio estivo, astronomicamente il giorno corretto è il 5 maggio.

Fonti gaeliche del X secolo affermano che i druidi accendevano dei falò sulla cima dei colli e che vi conducevano attraverso il bestiame del villaggio per purificarlo ed in segno di buon augurio. Anche le persone attraversavano i fuochi, allo stesso scopo. L'usanza persistette attraverso i secoli e dopo la cristianizzazione (i popolani sostituirono i druidi nell'accendere i fuochi), fino agli anni '50. La celebrazione sopravvive ancora oggi in alcuni luoghi, dove principalmente le persone vengono fatte passare attraverso i fuochi. Una celebrazione di Beltane si tiene ogni anno la notte del 30 aprile a Calton Hill, presso Edimburgo (Scozia), a cui partcipano circa 15.000 persone.

Beltane è una festività prettamente gaelica non "celtica", dato che altri popoli celtici come i Gallesi, i Bretoni ed i Galli non celebravano questa ricorrenza.

Beltane o Beltaine indica uno degli otto sabbat, celebrato il 1º maggio. Anche se la festività riprende alcuni aspetti della festa gaelica (come i falò), sembra più legata alla celebrazionegermanica di Calendimaggio, sia per il significato di festa della fertilità che per i rituali (come la danza attorno ad un palo ornato di fiori e stringhe, di cui ogni danzatore tiene un'estremità).

La tradizione endemica europea di accendere fuochi e falò in occasione di festività primaverili o legate ad equinozi e solstizi è la traccia indelebile degli antichissimi riti legati al Dio Belanu ed al Beltaine; in Italia i celtoliguri erano senz'altro tra gli adoratori del dio e celebravano questa festività. Ancora oggi esiste tra l'altro in molte culture contadine, come ad esempio in Piemonte. Anche in alta Valle Camonica (BS), la piccola comunità di Pontagna, frazione del comune di Temù, festeggia la notte tra il 15 ed il 16 di agosto (nella tradizione Cristiana è la festa di Santa Giulia) con grandi fuochi accesi in alto sui monti, ben visibili da fondo valle.

vesta, estia

Estia, dea vergine del focolare, figlia maggiore di Crono e Rea, era preposta ai fuochi sacrificali e le si rivolgevano preghiere prima e dopo i pasti. Sebbene compaia in pochissimi miti, la maggior parte delle città aveva un focolare comune dove ardeva il fuoco sacro. A Roma Estia era adorata come Vesta, dea del focolare domestico. Il luogo pubblico più importante del culto di Vesta era il tempio circolare nel Foro romano dove, si diceva, il suo fuoco era stato condotto da Troia per opera di Enea, leggendario capostipite dei romani. Il tempio simboleggiava la sicurezza della città e vi si alternavano sei vergini, le vestali, sacerdotesse che mantenevano il fuoco acceso e prestavano i loro servigi per periodi di trent'anni secondo regole severe. Ogni anno, intorno alla metà del mese di giugno, si teneva una festa in onore di Vesta, i Vestalia. La dea veniva raffigurata con le fiamme del suo fuoco.