martedì 23 giugno 2009

Abruzzo Terra di Streghe

Misteri d’Abruzzo a caccia di streghe Nel 1916 a Lanciano (Ch) si tenne un sinodo che denunciava come una superstizione diffusa nella città il ricorso a rimedi non medici per la cura delle ferite e delle malattie. I confessori pertanto avrebbero dovuto mostrare ai penitenti che indulgere a queste pratiche era peccato e dissuaderle dal farvi ricorso. Anche il Sinodo di Sulmona (Aq) dell’aprile del 1602 , sotto l’egida del Vescovo Cesare Del Pezzo indicava, per es., come sospetti di eresia tutti coloro che possedevano libri di magia ; erano vietati i lamenti funebri, particolarmente in uso a Scanno, era infine imposto l’obbligo di chiudere i cimiteri affinché non potessero offrire l’opportunità a streghe e malefiche di estrarne materiale per svolgere la loro criminosa attività. Un manoscritto conservato presso l’archivio diocesano di Chieti, quasi sicuramente proveniente dalla Congregazione romana del S.Uffizio, disciplinava in modo minuzioso la procedura che i giudici avrebbero dovuto seguire in questa materia. In primo luogo era necessario interrogare i medici che avevano avuto in cura l’infermo attorno alla malattia , per sapere se la stessa fosse stata “naturale” o prodotta da maleficio. Nell’atto poi della carcerazione della sospetta strega andava fatta nella sua abitazione un’accurata perquisizione , al termine della quale il notaio avrebbe dovuto redigere un minuzioso inventario di tutto il materiale rinvenuto. Alcuni anni dopo , il Sinodo tenuto dall’Arcivescovo di Chieti Antonio Santacroce, nel suo cap.x, condannava tutta una serie di atti attraverso i quali si manifestavano le “poverette”: “ nessuno osi fare legaccio, nodo, anello, immagine, segno, breve, caratteri; dire parole sconosciute o superstiziose; preparare bevande superstiziose o fare altre cose del genere; o utilizzarle sia per attirare qualcuno all’amore o al matrimonio; o per “legare” persone tra loro sposate o per arrecare danno di qualsiasi genere al prossimo; o per liberare gli uomini o gli animali dalle malattie ; o per trovare tesori o cose rubate o per fabbricare oro o argento e altre cose dello stesso genere.” Chiunque, quindi, avesse compiuto tali atti con l’intenzione di nuocere a qualcuno o con l’espressa invocazione al demonio, e in questo modo avesse arrecato un danno concreto a qualcuno, avrebbe dovuto essere scomunicato senza indugi. Nel caso, invece, che dai sortilegi fosse derivata soltanto una infermità, il divorzio, l’impotenza di generare, un danno agli animali, alle messi, ai frutti, l’autore (o autrice) di tali atti avrebbe dovuto essere rinchiuso in un carcere perpetuo. Infine l’Arcivescovo vietava anche l’astrologia giudiziaria, la predizione del futuro attraverso l’osservazione delle stelle o delle linee della mano ed anche le “superstizioni e le fallaci cantilene” con le quali erano soliti ingannare il popolo. ((Un sentito grazie a http://www.triora.org/abruzzo_15.html))

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