giovedì 28 agosto 2008

L'erotismo nella terra di Kem

L'importanza della componente erotica presso gli egizi è ancora, per la moderna archeologia, un vasto campo d'indagine, dato che sino ad ora questo tema è stato rimosso dalla ricerca a causa di un superficiale pudore. In Egitto non vi sono raffigurazioni erotiche che descrivano i rapporti interumani. Ciò potrebbe far supporre che l'erotismo sulle sponde del Nilo sia tabù. Non è vero. Basti pensare che, se gli egizi non ci hanno tramandato immagini erotiche ( come invece hanno fatto greci e romani), ci hanno lasciato sull'argomento parecchi scritti. Il grande papiro di Torino dimostra che tremila anni or sono nella Terra delle piramidi circolava già la pornografia. Gli antichi egizi erano soliti anche usare dei misteriosi miscugli afrodisiaci. Se confrontiamo la lettura erotica degli egizi con quella dei greci e dei romani, emerge che nel Paese del Nilo la donna in amore era molto libera, seducente ed aggressiva, del tutto diversa da colei che si legge dai racconti di Ovidio ( Ars Amandi) o di Luciano ( Dialoghi). Le donne egiziane contavano molto più delle donne del resto del mondo. E ciò valeva anche e soprattutto per la componente erotica. In nessun'altra parte del mondo c'erano gli strip tease, le danzatrici così belle. Le troviamo per la prima volta alla corte del quarto Thutmosi, bisnonno di Tut: uno scriba templare di Thutmosi IV fece riprodurre nella propria tomba una di quelle danzatrici chiamate "della bellezza". Da allora, esse comparvero spesso nelle sepolture private tebane. E' possibile ammirarle anche nel sacro tempio di Luxor; una cosa oscena per il pudico Erodoto.

L'alimentazione nella Terra di Kem

L'alimentazione nell'Antico Egitto Gli antichi egiziani ritenevano che la vita continuasse dopo la morte e che l’anima avesse ancora bisogno di mangiare, di bere e di tutte le cose di cui godeva in vita; è grazie a questo importante concetto che noi siamo in grado di conoscere in modo abbastanza approfondito gli usi alimentari e le caratteristiche delle mense di questo antico popolo. Nei corredi funerari delle tombe egizie infatti non venivano deposti solo i beni personali del defunto, ma anche abbondanti cibi e bevande conservati in vari tipi di contenitori, che dovevano garantire al morto di che sopravvivere nell’aldilà; spesso questi cibi e contenitori sono arrivati intatti fino ai giorni nostri. Nelle tombe egizie troviamo inoltre alcune serie di oggetti con una funzione essenzialmente magica, che dovevano fornire da mangiare e da bere per l’eternità all’anima del defunto, poiché i cibi nel corredo funerario potevano esaurirsi o deperire: si tratta delle stele funerarie, con la formula magica dell’offerta e la raffigurazione del pasto funerario da parte del defunto e dei parenti; delle statuette di servitori in atto di produrre alimenti di vario tipo; delle tavole d’offerta con le raffigurazioni dei vari cibi. Notizie sulla produzione alimentare dell’antico Egitto ci vengono infine dalle numerose scene di vita quotidiana scolpite o dipinte sulle pareti delle tombe, che con grande ricchezza di particolari avevano lo scopo di ricreare magicamente la vita terrena del defunto e soprattutto la produzione di cibi e bevande per la sua sopravvivenza. Tramite dunque i reperti conservati nei corredi funerari e le scene presenti nelle tombe, si è potuto arrivare a conoscere sia i prodotti alimentari finiti, sia le caratteristiche della loro produzione e i procedimenti della loro conservazione e cottura. Naturalmente i reperti dei corredi e le immagini delle tombe ci hanno tramandato le usanze alimentari di personaggi con buone possibilità economiche: l’abbondanza di disponibilità di cibo, che non tutti potevano permettersi, era ovviamente indice di ricchezza; anche nella statuaria egizia si può notare che l’adipe presente sul corpo di alcuni personaggi indica un alto livello sociale e grandi possibilità economiche. Ma l’antica saggezza egiziana non esitava ad ammonire contro gli stravizi e le esagerazioni della tavola! In alcuni papiri con “insegnamenti morali” si leggono infatti delle massime molto significative e anche molto attuali, come “Non ti abbuffare di cibo: chi lo fa avrà la vita abbreviata”, oppure “E’ gran lode dell’uomo saggio contenersi nel mangiare”, o infine “E’ meglio stentare dalla fame che morire d’indigestione”. Il pane e la birra Il pane e la birra erano la base dell’alimentazione degli antichi egiziani e pertanto costituivano anche la base delle offerte funerarie per i defunti, come riporta la classica formula dell’offerta che compare sulle stele e su numerosi oggetti dei corredi delle tombe. A conferma dell’importanza di questi alimenti venivano deposti nelle tombe dei modelli di servitori, caratteristici dell’Antico Regno, che raffigurano donne in atto di macinare cereali o di preparare la birra per l’anima del defunto. La coltivazione dei cereali era una delle attività più importanti del popolo egizio, fin dall’epoca predinastica; come è noto fu favorita dalle annuali inondazioni del fiume Nilo, che lasciando sul terreno grandi quantità di fertile limo permettevano di effettuare anche due raccolti all’anno. Proprio il livello raggiunto dalla piena del fiume indicava le potenzialità di raccolto e quindi su quello venivano anche calcolate le imposte che i contadini dovevano al faraone. Se la piena era scarsa il terreno coltivabile si riduceva provocando gravi carestie, di cui ci è stata tramandata notizia da diversi documenti; per questo motivo era importantissima una regolamentazione delle acque e una rete di irrigazione delle terre, che di solito era organizzata e curata da parte del potere centrale. L’aratura e la semina avvenivano appena l’acqua del Nilo si era ritirata dopo l’inondazione; la mietitura era effettuata con falci di legno dal manico corto e con lama costituita fino al Medio Regno da selci seghettate; quindi le spighe venivano battute per separare i chicchi dalla paglia. Una volta puliti, i chicchi di cereali erano stivati dentro granai a forma di silos, sotto gli occhi attenti degli scribi che registravano accuratamente il numero dei sacchi versati nei granai. Poiché nell’antico Egitto non esisteva la moneta, ma solo il baratto, i cereali costituivano spesso lo stipendio mensile dei lavoratori: un esempio ci è dato dagli elenchi delle paghe degli operai che scavavano le tombe dei faraoni nella Valle dei Re, che ricevevano mensilmente quattro sacchi di farro e uno e mezzo di orzo, oltre ad altri beni come legna, pesce e sale. I cereali coltivati nella valle del Nilo erano essenzialmente tre: il farro (triticum dicoccum), un tipo di frumento (probabilmente triticum aestivum) e l’orzo (hordeum sativum vulgare). I chicchi venivano macinati dalle donne nelle case con macine del tipo a sella e la farina ottenuta era utilizzata per fare pane di vario tipo; il lievito non era conosciuto e per lievitare la pasta di pane si usava l’avanzo della pasta del giorno precedente. La cottura avveniva in forni domestici, o anche su lastre di pietra arroventata; per particolari tipi di pane, per usi religiosi e soprattutto per l’offerta nei templi del pane bianco conico, venivano utilizzate delle forme di terracotta preriscaldate. I pani d’orzo servivano soprattutto alla fabbricazione della birra. Prelevati dal forno prima della completa cottura, venivano imbevuti di liquore di datteri e lasciati a fermentare; quindi venivano pressati e filtrati attraverso un setaccio: la bevanda ottenuta consisteva in una birra non molto alcolica che veniva conservata in giare accuratamente tappate. L’aggiunta di altri ingredienti poteva variare il sapore e la gradazione della birra; altre bevande più o meno alcoliche venivano inoltre ricavate dalla fermentazione di diversi frutti o bacche. Vino e olio La coltivazione dell’uva, sia come frutto che per produrre il vino, è attestata in Egitto fin dall’Epoca Protodinastica, anche se come bevanda non ebbe mai la diffusione e l’importanza che ebbe invece la birra. Le scene che appaiono sulle pareti delle tombe ci mostrano che le vigne erano di solito a forma di pergolato e che la pigiatura dell’uva dopo il raccolto era eseguita con i piedi dentro grandi catini, proprio come si è fatto fino quasi ai giorni nostri. I residui della pigiatura poi venivano spremuti ulteriormente tramite presse a sacco: alle estremità del sacco erano infilati due bastoni che girando in senso contrario lo torcevano e lo strizzavano, lasciando uscire il liquido rimanente. Il succo ottenuto era versato in anfore e lasciato fermentare, quindi le anfore venivano tappate; sulla loro spalla era di solito applicata un’iscrizione con l’indicazione dell’annata e del luogo di produzione del vino. Ad esempio le numerose anfore vinarie trovate nella tomba del faraone Tutankhamon presentano un’iscrizione in ieratico, come “Anno 4 per la casa di Tutankhamon” e una stampigliatura in geroglifico sul tappo d’argilla dove si legge “Vino dei possedimenti di Tutankhamon”, o anche “Vino di buona qualità dei possedimenti di Aton”. Dal Nuovo Regno in poi è attestata talvolta la presenza di un piccolo foro sul collo dell’anfora, probabilmente per permettere la fuoriuscita degli ultimi gas di fermentazione dopo la chiusura del contenitore. Come per la birra, il vino poteva essere arricchito con alcuni ingredienti per variarne sapore e gradazione; sappiamo inoltre da documenti scritti che era particolarmente apprezzato il vino prodotto nel delta del Nilo e in alcune oasi. La coltivazione dell’olivo fu introdotta in Egitto dall’oriente solo nel Nuovo Regno, e anche dopo l’olio d’oliva non fu tra i più usati in cucina. Gli olii più utilizzati per condire e per friggere erano l’olio di sesamo, l’olio di lino e soprattutto l’olio bak tratto dalla noce di moringa; alcuni papiri attestano che molti olii particolari venivano importati da paesi stranieri, non solo a fini alimentari, ma anche per uso medico e cosmetico. Altri condimenti per la cucina erano il sale e alcune erbe aromatiche, come il ginepro, l’anice, il coriandolo, il cumino, il prezzemolo e il finocchio; il pepe non era conosciuto e fu importato in Egitto solo in Epoca Romana. Frutta e verdura Orti e giardini erano molto diffusi dell’antico Egitto, anche di piccole dimensioni, sia presso le case dei contadini che nelle grandi ville dei ricchi dignitari. Nei frutteti venivano coltivati cocomeri, meloni, fichi, palme da dattero e, solo dopo essere stati importati nel Nuovo Regno, meli e melograni: come per l’olivo infatti, diversi prodotti arrivarono sulla tavole degli egiziani a seguito dei contatti commerciali, particolarmente fiorenti all’inizio della XVIII dinastia, con i paesi del Mediterraneo orientale. Veniva raccolta e apprezzata anche la frutta selvatica, come le giuggiole, simili alle ciliegie, e le noci di palma dum. Si riteneva inoltre che il frutto della mandragora avesse potere afrodisiaco e significato simbolico erotico, forse per la concentrazione di tossine presenti nella buccia, che ha effetti narcotici e anche allucinogeni in chi lo mangia. Negli orti abbondavano numerose varietà di verdure, tra cui cipolle, porri, aglio, sedano, cetrioli e soprattutto ceci, fave e lenticchie, che erano elemento quotidiano dell’alimentazione degli antichi egiziani; i piselli comparvero solo con il Nuovo Regno. Particolarmente coltivata era la lattuga, i cui cespi raggiungevano grandi dimensioni: forse per questo motivo la lattuga era sacra al dio Min, protettore della fecondità. Lessi o arrostiti erano gustati anche alcuni tipi di tuberi e rizomi. La carne e il pesce La caccia e la pesca furono tra le attività più praticate nell’antico Egitto fin dall’Epoca Preistorica e naturalmente hanno sempre fornito carne e pesce per l’alimentazione degli egiziani. In epoca storica la caccia, almeno per quanto riguarda gli animali di grossa taglia, rimase come attività di tipo sportivo da parte dei ricchi nobili, che spesso si dedicavano a cacciare nel deserto o lungo il Nilo lepri, leoni, gazzelle, ippopotami, e così via. Rimase invece sempre molto praticata la caccia agli uccelli, non solo come divertimento di personaggi facoltosi, ma soprattutto per riempire, insieme al pesce, le mense delle famiglie dei ceti più bassi: si tratta soprattutto di piccioni, anatre, oche, gru e vari tipi di uccelli acquatici. I volatili venivano catturati mediante una rete tesa su uno specchio d’acqua tra due pertiche: tirando da riva una corda, le pertiche si ribaltavano chiudendo la rete e tutti gli uccelli che vi si erano posati ignari. A riva i volatili venivano subito uccisi, spennati, ripuliti delle interiora e messi sotto sale dentro grosse giare, per essere conservate. Le scene dipinte o in rilievo sulle pareti delle tombe, che dovevano ricreare la produzione di alimenti per la vita oltremondana del defunto, ci mostrano che alcuni tipi di uccelli venivano anche allevati: anatre, oche e gru appaiono rinchiuse in recinti con inservienti che introducono a forza nei becchi una specie di pastone cotto su bracieri, per far ingrassare i volatili; il modo più comune per cucinarli era di arrostirli sul fuoco infilzati sugli spiedi. Mentre le uova, anche di struzzo, erano presenti sulla mensa egizia, il pollo compare solo in Epoca Romana. L’allevamento a scopo alimentare era praticato nell’antico Egitto soprattutto per i bovini, utilizzati anche per i lavori agricoli, e per ovini e caprini. Nelle macellerie venivano sgozzati buoi soprattutto di una particolare razza che forniva abbondante carne e grasso; il sangue veniva utilizzato per produrre una specie di sanguinaccio, mentre il fegato, molto apprezzato, poteva servire anche ad insaporire delle focacce; il grasso era usato per cucinare. Gli egiziani preferivano alla carne arrostita quella lessata, con la quale potevano essere preparati anche succulenti pasticci. Altri animali allevati per l’alimentazione erano i conigli e i maiali, ma la carne di questi ultimi era esclusa dalle offerte funerarie e da quelle dedicate alle divinità nei templi; nell’Antico Regno è attestato anche l’allevamento di alcune specie selvatiche, come le iene e le gazzelle. Anche la pesca è oggetto di numerose scene sulle pareti delle tombe: il pesce era il cibo più comune per chi non poteva permettersi quotidianamente la carne, anche se compare pure sulle tavole dei ricchi, ed era molto facile procurarselo, essendo il Nilo molto pescoso. Le tecniche di pesca erano diverse, ma la più usata era quella con la rete a strascico, che consisteva in una barca che attraversava il corso d’acqua trainando una rete e ritornava al punto di partenza richiudendola e imprigionando i vari pesci. La pesca con la lenza, con o senza canna, era ritenuta perlopiù un divertimento per i facoltosi dignitari, che la praticavano nei laghetti artificiali dei giardini delle loro ville. Sulla riva, come per gli uccelli, i pesci venivano aperti, puliti dalle interiora, appesi a seccare e infine posti sotto sale dentro grandi giare per la conservazione; il pesce fresco era invece cucinato di solito arrosto o lessato. Dalle uova dei muggini era ricavata anche una specie di bottarga: le uova estratte durante la pulitura dei pesci venivano salate e quindi appallottolate e pressate. Oltre ai muggini, il Nilo era ricco di anguille, carpe, tilapia e pesci gatto; sulle tavole d’offerta funerarie però i pesci non compaiono mai; il vero motivo di questa esclusione è sconosciuto. Bisogna ricordare inoltre che nella religione egizia numerose divinità erano adorate sotto l’aspetto di animali, i quali pertanto non potevano essere oggetto di alimentazione nelle località sede del loro culto. Fonte: Maria Cristina Guidotti Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana

venerdì 15 agosto 2008

La donna è Meret, amata

La donna egizia, tutelata da disposizioni giuridiche che la ponevano su un piano di assoluta uguaglianza all’uomo, entrava nella società attraverso il matrimonio: la “signora della casa” svolgeva il suo ruolo di sposa e madre a garanzia della prosperità del nucleo familiare. La donna egizia, poi, aveva un ruolo attivo anche oltre l’ambito della corte e del clero. Esistevano, per esempio, anche donne che «gestivano personalmente ingenti possedimenti delegando la vendita dei prodotti a propri agenti commerciali anche all’estero». Alla donna egizia, inoltre, era affidato l’eterno compito di seduttrice, moglie e madre: «Sono sette giorni ieri che non ho visto la mia amata. Il mio corpo è divenuto pesante: ho dimenticato me stesso. Se verranno a me i medici il mio cuore non sarà soddisfatto dei loro rimedi. Solo se mi diranno “Eccola è lei” questo mi farà rivivere... La mia amata mi giova più di ogni medicina. Lei è il mio amuleto... ». Non è come semplice moglie, ma appunto con l’aggettivo “meret”, cioè “amata”, che ogni donna sposata viene ricordata vicino al suo consorte. «Se guardiamo al cielo e al movimento eterno degli astri, ciò che per noi è maschile per gli egizi è femminile: dal nome del cielo, pet, alle figure della sua dea per eccellenza, Nut, il cui corpo si curva a simulare la volta celeste mentre la punta delle sue dita e dei suoi piedi toccano la terra, per gli Egizi maschile, nelle forme del dio Geb che si sdraia a terra nell’atto di prepararsi a generare ogni tipo di vita. Tutto questo mondo al femminile siede con la sua forza accanto al faraone. Non a caso nelle rappresentazioni della coppia in cui l’uomo abbraccia la sua donna, e viceversa, cogliamo quanto scritto in testi preziosi. Così dice Hergedef, figlio del faraone Cheope, al figlio: “Se sei un uomo virtuoso, fonda un focolare: sposa una donna forte”. E lo stesso insegnamento dà al figlio Ptahhotep, al tempo della V dinastia (2450 aC circa): “Se sei una persona virtuosa, fonda il tuo focolare. Ama tua moglie con ardore. Rallegra il suo cuore nel tempo in cui vivrai”». Dalla casa e dalla vita quotidiana giungono intatti i colori, i profumi, le forme che circondavano l’universo domestico femminile. Grazie agli oggetti d’uso comune si può ancor oggi immaginare gli spazi delle antiche abitazioni, le mense e le cucine, cui arrivavano colture fresche e frutti maturi. Si possono osservare i letti, le sedie, i tavolini, «i cofani e i cofanetti di legno con metri e metri di tele per il corredo della casa e della persona». «Ecco le donne antiche sedute nei cortili delle loro case, sotto il portico o nei giardini, all’ombra di una palma o di un sicomoro per ripararsi dalla calura; aprire i cofani di legno dipinto per vestirsi al mattino e intingere i bastoncini nel khol per il giorno di festa». E poi ancora pettini, parrucche a fitte treccioline, ghirlande di fiori, vasetti per profumi, specchi, collane, orecchini ed anelli, arpe e flauti «a ricordare giornate da celebrare con attenzioni speciali e far risuonare le antiche musiche e le loro danze». La forza degli oggetti della vita quotidiana va oltre il loro uso e diventa «un racconto in cui leggere anche le paure, le ansie, le superstizioni». Così le raffigurazioni di divinità protettrici della donna e della famiglia ricordano il timore del parto, o il senso di protezione e tenerezza rivolta ai bambini. Oppure, più in generale, «da amuleti, testi e raffigurazioni magiche riemerge quell’angoscia profonda dell’uomo di fronte alla vita e alla sua immensità, alla malattia e alla morte. Ieri come oggi».

Parto e maternità nell'Egitto Antico

Maternità e fertilità L’insegnamento di Ani (Nuovo Regno): «Prendi moglie mentre sei giovane,/che lei faccia un figlio per te;/Lei dovrebbe procreare per te mentre sei giovane./E’ giusto fare bambini./Felice è l’uomo i cui figli sono tanti,/Egli è rispettato per la sua progenie». Il più importante scopo del matrimonio era di far nascere dei figli e perpetuare la famiglia, come è probabile che l’infertilità fosse causa di divorzio, mentre una soluzione alla mancanza di prole era l’adozione. L’interruzione del ciclo mestruale era considerata un possibile segnale di concepimento, ma gli antichi egizi avevano anche sviluppato un numero di prove da realizzare per capire se una donna era incinta o meno. Questa sorta di “test di gravidanza” sono descritti in vari papiri magico-medicali, alcuni dei quali si occupano quasi esclusivamente di ginecologia, ostetricia e della cura del bambino (il che dimostra quanto la procreazione fosse importante nella società egizia). L’unica divinità femminile normalmente raffigurata incinta è Tauret, la protettrice delle donne gravide. Ha la forma di un ippopotamo con gli arti di un leone, la coda di coccodrillo e un seno umano piatto e cadente; sta ritta sulle zampe posteriori, e il suo ventre gonfio sporge in maniera evidente. Anche i geroglifici connessi al concepimento e alla gravidanza mostrano una donna gravida inginocchiata. Un certo numero di testi magico-medicali contengono sezioni sulle partorienti, con ricette o scongiuri sulla “separazione del bambino dal ventre della madre” oppure per accelerare la nascita nel caso di doglie prolungate. L’efficacia di questi scongiuri deriva spesso dall’identificazione della partoriente con la dea della fertilità, Hathor, o con la dea Iside, madre per eccellenza. Una madre poteva allattare il figlio per tre anni, un lungo periodo non raro in molte società perché riduce le possibilità e la frequenza delle gravidanze. Mentre la maggior parte delle donne allattava i propri figli, per i bambini reali e le mogli degli scriba esistevano le balie. Va da sé che le balie reali erano membri di famiglie di classe elevata, spesso mogli o madri di alti funzionari. La loro relazione con i figli del re dava grande prestigio alle loro famiglie, e aiutava i mariti o i figli nella carriera. I papiri magico-medicali contengono anche consigli per stimolare la produzione di latte ed esami per aiutare a capire se il latte fosse buono o cattivo. Il latte materno era considerato un ingrediente efficace per alcune ricette. In un papiro, ad esempio, si consiglia: «cime di papiro, grani di sepet, macinare finemente e mescolare con il latte di una madre che ha avuto un figlio maschio. Un hin [circa mezzo litro] di questo preparato è dato al bambino che trascorrerà un giorno e una notte in un sano sonno».

L'Acqua nell'Antico Egitto, rituali e miti

Per gli egiziani l'acqua era un simbolo che si limitava alle libazioni (= offerte di bevande versate a scopo sacrificale) e alle abluzioni (= atti liturgici che si compiono a scopo di purificazione). L'acqua viene impiegata in queste azioni non in virtù del suo essere, "un liquido trasparente, insipido, incolore, inodore", ma proprio in quanto "acqua", elemento che ha un ruolo determinante nei momenti essenziali della vita degli egizi. La grande ossessione di questi era il mantenimento della vita e per questo motivo volevano che i loro corpi sopravvivessero anche alla morte. A tal scopo essi lavavano con acqua e profumi i cadaveri e, successivamente, li mummificavano. Per questo popolo l'acqua era il frutto di Osiride, il dio morto e risorto, il quale aveva comunicato ad essa la sua virtù fecondativa. Per gli egiziani "acqua" era sinonimo di due grandi entità: il Nilo, l'acqua delle inondazioni, e il Nun, l'acqua della vita. Il Nun era l'oceano primordiale da cui erano nate tutte le forme di vita. Gli egizi pensavano che questo continuasse ancora a scorrere nel sottosuolo e che le sorgenti freatiche fossero il suo riaffiorare sulla terra. I laghi sacri dei templi permettevano di accumulare quest'acqua e di attingerla; si materializzavano così i "laghi della vita" di cui fanno menzione i testi delle piramidi. Secondo gli egizi l'acqua del Nun diede vita al Sole, che da lì sorge ogni mattino. Il culto della vita si ritrova anche nel sole, che ogni giorno moriva per poi rinascere il giorno dopo.

venerdì 1 agosto 2008

La condizione della donna nell'Egitto antico, la signora della Casa

"Feci sì che la donna egizia potesse andare per la sua strada;i suoi viaggi furono estesi fino dove voleva,senza che nessun altro la assaltasse lungl il cammino".Ramses III La donna egizia era considerata "la signora della casa"; se si trattava di una donna del popolo, si occupava della macinatura dei cereali e della preparazione della birra, della filatura e della tessitura del lino; se apparteneva alla nobiltà, invece, sovrintendeva al lavoro delle ancelle. La donna condivideva con il marito la vita sociale e disponeva di un patrimonio che portava in dote allo sposo, ma che un contratto le restituiva in parte in caso di vedovanza. Per legge il marito era tenuto a mantenere la propria moglie. La sua posizione giuridica non differiva da quella dell'uomo. Si preoccupava assieme allo sposo dell'educazione dei figli ed in particolare le era affidata l'educazione della figlia femmina. Si sposava molto giovane, spesso con un uomo più anziano di lei. Solitamente il matrimonio era combinato dai genitori. I due sposi potevano essere consanguinei e appartenevano sempre allo stesso ceto sociale. Colui che sposava una schiava, viveva al di fuori della legalità e i loro figli erano considerati schiavi. All'interno dell'harem, la donna in apparenza godeva di molti agi, ma in realtà era costretta in uno stato di confinamento. Il matrimonio era una semplice festa tra le due famiglie e si concludeva con il trasferimento della sposa a casa del marito. Contratti scritti sono riferibili solo all'età tarda. In caso di divorzio il marito passava degli alimenti alla moglie nella misura di un terzo rispetto alla quota definita nell'accordo iniziale. Cause principali di divorzio erano l'adulterio e la sterilità. Se l'infedeltà del marito era tollerata era possibile che egli prendesse una seconda moglie, al contrario se l'adultera era la moglie veniva frustata e subiva l'amputazione di un orecchio o del naso. La donna aveva diritto dopo la morte ad una tomba tutta sua al pari dell'uomo. (da www.anticoegitto.net)

La condizione della donna nell'Egitto antico, la signora della Casa

"Feci sì che la donna egizia potesse andare per la sua strada;i suoi viaggi furono estesi fino dove voleva,senza che nessun altro la assaltasse lungl il cammino".Ramses III La donna egizia era considerata "la signora della casa"; se si trattava di una donna del popolo, si occupava della macinatura dei cereali e della preparazione della birra, della filatura e della tessitura del lino; se apparteneva alla nobiltà, invece, sovrintendeva al lavoro delle ancelle. La donna condivideva con il marito la vita sociale e disponeva di un patrimonio che portava in dote allo sposo, ma che un contratto le restituiva in parte in caso di vedovanza. Per legge il marito era tenuto a mantenere la propria moglie. La sua posizione giuridica non differiva da quella dell'uomo. Si preoccupava assieme allo sposo dell'educazione dei figli ed in particolare le era affidata l'educazione della figlia femmina. Si sposava molto giovane, spesso con un uomo più anziano di lei. Solitamente il matrimonio era combinato dai genitori. I due sposi potevano essere consanguinei e appartenevano sempre allo stesso ceto sociale. Colui che sposava una schiava, viveva al di fuori della legalità e i loro figli erano considerati schiavi. All'interno dell'harem, la donna in apparenza godeva di molti agi, ma in realtà era costretta in uno stato di confinamento. Il matrimonio era una semplice festa tra le due famiglie e si concludeva con il trasferimento della sposa a casa del marito. Contratti scritti sono riferibili solo all'età tarda. In caso di divorzio il marito passava degli alimenti alla moglie nella misura di un terzo rispetto alla quota definita nell'accordo iniziale. Cause principali di divorzio erano l'adulterio e la sterilità. Se l'infedeltà del marito era tollerata era possibile che egli prendesse una seconda moglie, al contrario se l'adultera era la moglie veniva frustata e subiva l'amputazione di un orecchio o del naso. La donna aveva diritto dopo la morte ad una tomba tutta sua al pari dell'uomo.
(da www.anticoegitto.net)

I colori nell'Egitto antico e i loro significati

Per gli antichi Egizi ogni colore aveva un preciso significato. Il verde ed il turchese, che richiamavano la vegetazione e l'acqua, rappresentavano giovinezza e rigenerazione. Il rosso era il deserto e perciò il caos ( gli egizi elencavano i nomi delle entità ritenute pericolose). A questo colore si contrapponeva il nero della terra fecondata dal limo che simboleggiava l'eterno rinascere della natura. Il giallo, il colore dell'oro, era associato alle membra degli dei. Il bianco ovverosia l'argento, corrispondeva alle loro ossa. Il blu dei lapislazzuli simboleggiava i loro capelli. Il bianco si ricavava dal gesso o dal calcare, finemente tritato. Per ottenere il celeste si utilizzava l'azzurrite. Per i marroni si mescolavano ossido di ferro e pigmenti bianchi. Il nero era ricavato dal carbone o dall'ossido di manganese. Per il rosso si utilizzava l'ossido di ferro anidrato. Il verde veniva prodotto polverizzando la malachite. Per ottenere il giallo usavano l'ossido di ferro idratato. A partire dalla XII dinastia fa la sua comparsa l'arsenico. Il legante per i colori non è stato ancora identificato con sicurezza. Forse venivano utilizzati materiali gommosi, cera d'api e bianco d'uovo. (link al sito nel titolo)

L'anima per gli egiziani antichi

Ci sono tre diversi principi spirituali nella vita dell'uomo egiziano:l'Akh, una forza spirituale e sovrannaturale. Viene rappresentato dall'Ibis Piumato, lo stesso segno geroglifico forma la radice del vero "essere efficace, benefico, glorioso". In contrapposizione al corpo, che appartiene alla terra, l'akh appartiene al cieloNelle epoche più remote era appannaggio esclusivo degli dei e dei faraoni, in quanto esseri divini, infatti durante l'Antico Regno, il sovrano era sottoposto ad un rito particolare il "sakh", inteso a spiritualizzarlo e a renderlo un akh, cioè uno spirito.Presto la concezione dell'akh divenne propria anche dei comuni mortali.Raggiungere il proprio akh, significava raggiungere la morte e quindi una dimensione come quella dell'"io" spirituale.Il Ba si assimila maggiormente al nostro concetto di anima. Simboleggiata da un uccello e talvolta a partire dal XVIII dinastia, da un volatile dalla testa umana.Sembra che in origine il ba, fosse la facoltà propria degli dei di assumere diverse forme.Nelle tombe è facile vedere il ba rappresentato nell'atto di volare intorno al sepolcro o di dissetarsi ad uno stagno.Al di là della morte il ba continuava a vivere, conservando non il corpo, ma soltanto le proprietà che animava l'essere vivente di cui era stato parte.Il Ka è uno dei concetti spirituali di più difficile interpretazione.Nel corso dei secoli il senso attribuito a questa parola ha subito notevoli mutazioni e si è arricchito di significati diversi:Secondo i primi egittologi il Ka esprimeva "l'essere, la persona, l'individualità", in un secondo tempo Lepage-Renouf ha sottolineato i diversi caratteri di genio, dio-protettore e doppio spirituale, proponendo un'interpretazione, ripresa poi da Maspero, che definì il Ka come una "proiezione vivente della figura umana, un doppio riproducente i dettagli dell'individuo a cui appartiene".Per altri studiosi il Ka era la potenza generatrice e la forza sessuale. Il segno geroglifico del Ka consiste in due braccia protese all'abbraccio, ad un gesto cioè di protezione, questo ha avvalorato l'ipotesi di un dio protettore, un ipotesi molto discutibile in quanto le braccia alzate non hanno nulla dell'abbraccio, indicano invece il segno del doppio.Dunque il Ka proteggeva i vivi, ma ancor di più i morti, infatti per gli Egiziani non era altro che "raggiungere il proprio Ka". dal sito www.anticoegitto.net

Akh, Ba e Ka, l'anima nell'Egitto antico

I concetti di ka,ba e akh vennero formulati per la prima volta all’interno dei Testi delle Piramidi.Ka “la forza vitale dell’uomo”.Concetto spirituale del nutrimento, ka al plurale, kau, significava infatti nutrimento, cibo. La tomba era luogo di trasfigurazione, sakhu, nel quale in base ai riti il defunto si trasformava in akh lo “spirito trasfigurato”. La conservazione del corpo era parte essenziale per l’ascensione al cielo, ove nell’emisfero settentrionale risiedeva l’akh che brillava insieme alle stelle “che ignorano la fatica”, cioè le stelle circumpolari. L’altro concetto spirituale era il “ba”, la manifestazione animata e personale del morto, la capacità cioè di muoversi ed assumere qualsiasi forma voluta dal defunto. Il ba era spesso raffigurato come uccello a testa umana. Altri elementi della personalità umana che permettevano la sopravvivenza dell’uomo erano l’ombra, l’energia (hekau), il cuore ed il nome. I teologi egizi si sono serviti di soluzioni diverse per tentare di risolvere il complesso problema vita-morte. Teologie che, se anche alle volte diverse, erano valide sotto un determinato aspetto. I teologi non hanno elaborato una teoria unica, rifuggendo da ogni sistematicità e proponendo invece solo “verità limitate”. Nel rituale dell’apertura della bocca, nella scena 71, il dio Thot annuncia a Ra che ha modellato la statua del re … gli ha dato il soffio della vita, gli ha aperto la bocca affinché possa divenire un akh eccellente e il suo nome possa durare nell’eternità:”Egli proteggerà le membra di colui che gli verserà l’acqua. Egli avrà potere sul pane, potere sulla birra. Egli uscirà come ba vivente, egli compirà le sue trasformazioni secondo il suo volere, in ciascuno dei luoghi ove è il suo ka”. Gli egizi erano turbati dall’idea di cosa potesse accadere nell’aldilà, ne troviamo testimonianze sia nel “Dialogo di un disperato con il suo ba” e nelle diverse versioni del “Canto dell’Arpista”.In quest’ultimo testo, per la prima volta apparso nella tomba del re Antef, si legge: “ Io ho ascoltato i bei discorsi di Imhotep e di Herdedef, riferiti nelle loro parole ed in modo completo, ma dove sono mai (le loro tombe)?Le loro mura sono distrutte, le loro sedi non ci sono più, come se non fossero mai esistite.Nessuno è mai tornato di là, per raccontarci la propria condizione e situazione,per placare il nostro cuore finché non andremo nel luogo dove loro sono (già) andati.Quando a te rallegra il tuo cuore, per dimenticare il mio stato d’animo, è meglio per te.Segui il tuo cuore finché vivi, poni mirra sulla tua testa …Fai in modo che la tua felicità si accresca, non è ancora stanco il tuo cuore.Segui il tuo desiderio ed il tuo godimento, agisci sulla terra come comanda il tuo cuore.(Quando) viene per te quel giorno del lamento, Osiri non ascolta certo il loro lamento, ché il loro lamento non ha mai liberato il cuore di un uomo nella fossa.Passa un giorno felice e non staccartene, osserva, non c’è nessuno al quale sia stato concesso di prendere le sue cose con sé (nell’aldilà), osserva, non c’è nessuno che sia tornato di qua o che ritornerà di nuovo”. Per gli antichi egizi i rischi connessi alla “seconda morte” erano conseguenza della distruzione del corpo e dell’annullamento della personalità qualora non fossero stati eseguiti correttamente i rituali. In ciò vedevano un destino non solo di tormenti, ma di totale oblio. Solo la fede religiosa poteva aiutare l’uomo a superare i tanti ostacoli che incontravano nel difficile cammino attraverso il Duat, cioè il mondo sotterraneo. A partire dal Nuovo Regno si evidenzia la netta distinzione tra terra e cielo e il Duat dove l’oscurità regna sovrana ed il mondo appare a volte rovesciato, tanto che a volte si è costretti a camminare a testa in giù, e il defunto può essere privato del suo ba. Secondo i Libri dell’Oltretomba, per il sovrano questo mondo era ostile, popolato di entità nemiche e mostri terribili. Identificato con il dio Ra, il faraone per mezzo di formule magiche poteva superare i molti pericoli durante la notte e risorgere con il dio-sole che respingendo l’attacco del serpente Apophis, ogni giorno all’alba assicurava la vittoria della vita sulla morte e dell’ordine sul caos. da www.anticoegitto.net

Storie di dee - La donna nell'Egitto Antico

Nella società egizia la donna poteva ricoprire le più importanti cariche dello stato: nessuna strada le era preclusa. Troviamo così faraoni e sacerdoti donne la cui fama ha sfidato il passare dei secoli grazie alle loro personalità davvero uniche. la civiltà egizia dimostra ancora una volta il suo alto grado di evoluzione ponendo la donna al pari dell'uomo. Anzi, l'uomo non era considerato tale senza la donna. Questo concetto rientrava nella visione della dualità egizia che corrispondeva ad un equilibrio armonico in accordo con l'equilibrio universale. Parte maschile e parte femminile avevano assolutamente lo stesso valore ed erano indissolubili. E non solo sulla terra, nel mondo dei vivi, ma anche in cielo, nel pantheon degli dei. Questa parità anche a livello ultraterreno trova conferma nell'analisi delle concezioni legate al principio della creazione. Uno dei più antichi miti relativi all'origine del mondo vedeva Atum, unico essere dell'universo, utilizzare la mano per il solo atto creatore possibile ‑quello della masturbazione, intesa come simbolo del potere creatore della mente e della mano, quest'ultima artefice di tutte le creazioni umane. Con l'evolversi della teologia la mano diventò un simbolo dell'elemento femminile contenuto nella mente divina e venne identificata con la dea Iusaas, consorte di Atum, con la quale il dio creò la prima coppia divina costituita da Shu, divinità maschile che rappresentava l'atmosfera luminosa, l'aria e la luce, e Tefnut, entità femminile che indicava l'umidità. Da questa prima coppia divina successivamente furono generati Geb, dio della terra, e Nut, dea del cielo. I teologi egizi elaborarono varie teorie relative alla creazione degli dei e degli uomini che si diffusero nel mondo, a seconda del periodo storico e dei diversi centri politici. Un elemento costante era la complementarità tra parte maschile e femminile. Ad esempio, per i sacerdoti di Hermopolis, il principio vitale era costituito da quattro coppie di dei, maschili e femminili: Nun e Naunet che rappresentavano l'umidità, Kek e Keket le tenebre, Hehu e Hehet l'infinito spaziale e infine le due entità nascoste Amon e Amonet. Rimanendo nella sfera del divino, la donna nei panni di dea veniva raffigurata con diverse sfaccettature e poteva esprimere lati terribili e pericolosi oppure suscitare amore e compassione. Nel "mito della distruzione degli uomini", è presente un'entità femminile complessa: la dea Hathor. Questa divinità fu inviata dal dio Ra contro quegli uomini che avevano minacciato di scacciarlo dal trono divino per via della sua età avanzata. Hathor si scagliò con un'incredibile ferocia contro gli esseri mortali che si erano invano rifugiati nel deserto. La dea li scovò e li uccise, compiacendosi alla vista del sangue delle sue vittime. Una versione di questo mito vede "1a Dea Lontana" nei panni di Tefnut che fugge nel deserto orientale della Nubia dove, prese le sembianze di una leonessa feroce, semina il terrore tra la popolazione. La collera divina sembrava davvero inarrestabile ma Shu e Thot, i messaggeri celesti inviati da Ra, riuscirono ad avvicinare la terribile fiera e a intrattenerla con affascinanti racconti tra cui quello celebre del leone e del topo, giunto fino a noi grazie alla rielaborazione dello scrittore La Fontaine. La dea si commosse e decise di fare ritorno a casa ma non poteva certo entrare in Egitto nei panni di una leonessa sanguinaria. Thot allora calmò la rabbia della divinità versando vino nelle acque di Philae, dove essa si abbeverava. Costei, scambiando il vino per sangue, ne bevve fino a placare la sete, si ubriacò e finalmente si calmò. Al suo risveglio aveva riacquistato il suo aspetto positivo e fu così accolta in Egitto come dea Hathor con grandi feste e onori. Hathor infatti aveva un aspetto benefico. Essa era considerata la madre del sole, la vacca celeste che ingoiava l'astro diurno alla sera e lo partoriva al mattino, patrona della danza, della musica e dell'amore. Gli Egizi la invocavano spesso "perchè procurasse un focolare alla vergine e uno sposo alla vedova". Proseguendo con le dee benefiche del pantheon egizio possiamo ricordare Iside e Mut. Iside è la sposa di Osiride e rappresenta la moglie amorevole, che riporta in vita il marito ucciso dal terribile Seth, e allo stesso tempo la madre affettuosa e premurosa, che protegge il figlio Horus. Questa immagine ebbe un successo inimmaginabile: la madre amorevole, con il figlio Horus sulle ginocchia, fu venerata anche dai Copti e passò a rappresentare la Vergine cristiana, ancora presente nella nostra iconografia. Nei panni di madre divina troviamo anche la dea Mut, sposa di Amon, il cui nome in egizio significa proprio madre. Le dee in terra invece erano rappresentate dalle regine, le spose dei faraoni, che avevano il ruolo di completare la maestà e la divinità del sovrano.