venerdì 15 agosto 2008

La donna è Meret, amata

La donna egizia, tutelata da disposizioni giuridiche che la ponevano su un piano di assoluta uguaglianza all’uomo, entrava nella società attraverso il matrimonio: la “signora della casa” svolgeva il suo ruolo di sposa e madre a garanzia della prosperità del nucleo familiare. La donna egizia, poi, aveva un ruolo attivo anche oltre l’ambito della corte e del clero. Esistevano, per esempio, anche donne che «gestivano personalmente ingenti possedimenti delegando la vendita dei prodotti a propri agenti commerciali anche all’estero». Alla donna egizia, inoltre, era affidato l’eterno compito di seduttrice, moglie e madre: «Sono sette giorni ieri che non ho visto la mia amata. Il mio corpo è divenuto pesante: ho dimenticato me stesso. Se verranno a me i medici il mio cuore non sarà soddisfatto dei loro rimedi. Solo se mi diranno “Eccola è lei” questo mi farà rivivere... La mia amata mi giova più di ogni medicina. Lei è il mio amuleto... ». Non è come semplice moglie, ma appunto con l’aggettivo “meret”, cioè “amata”, che ogni donna sposata viene ricordata vicino al suo consorte. «Se guardiamo al cielo e al movimento eterno degli astri, ciò che per noi è maschile per gli egizi è femminile: dal nome del cielo, pet, alle figure della sua dea per eccellenza, Nut, il cui corpo si curva a simulare la volta celeste mentre la punta delle sue dita e dei suoi piedi toccano la terra, per gli Egizi maschile, nelle forme del dio Geb che si sdraia a terra nell’atto di prepararsi a generare ogni tipo di vita. Tutto questo mondo al femminile siede con la sua forza accanto al faraone. Non a caso nelle rappresentazioni della coppia in cui l’uomo abbraccia la sua donna, e viceversa, cogliamo quanto scritto in testi preziosi. Così dice Hergedef, figlio del faraone Cheope, al figlio: “Se sei un uomo virtuoso, fonda un focolare: sposa una donna forte”. E lo stesso insegnamento dà al figlio Ptahhotep, al tempo della V dinastia (2450 aC circa): “Se sei una persona virtuosa, fonda il tuo focolare. Ama tua moglie con ardore. Rallegra il suo cuore nel tempo in cui vivrai”». Dalla casa e dalla vita quotidiana giungono intatti i colori, i profumi, le forme che circondavano l’universo domestico femminile. Grazie agli oggetti d’uso comune si può ancor oggi immaginare gli spazi delle antiche abitazioni, le mense e le cucine, cui arrivavano colture fresche e frutti maturi. Si possono osservare i letti, le sedie, i tavolini, «i cofani e i cofanetti di legno con metri e metri di tele per il corredo della casa e della persona». «Ecco le donne antiche sedute nei cortili delle loro case, sotto il portico o nei giardini, all’ombra di una palma o di un sicomoro per ripararsi dalla calura; aprire i cofani di legno dipinto per vestirsi al mattino e intingere i bastoncini nel khol per il giorno di festa». E poi ancora pettini, parrucche a fitte treccioline, ghirlande di fiori, vasetti per profumi, specchi, collane, orecchini ed anelli, arpe e flauti «a ricordare giornate da celebrare con attenzioni speciali e far risuonare le antiche musiche e le loro danze». La forza degli oggetti della vita quotidiana va oltre il loro uso e diventa «un racconto in cui leggere anche le paure, le ansie, le superstizioni». Così le raffigurazioni di divinità protettrici della donna e della famiglia ricordano il timore del parto, o il senso di protezione e tenerezza rivolta ai bambini. Oppure, più in generale, «da amuleti, testi e raffigurazioni magiche riemerge quell’angoscia profonda dell’uomo di fronte alla vita e alla sua immensità, alla malattia e alla morte. Ieri come oggi».

Nessun commento: